martedì 5 marzo 2013

Contro i vecchi partiti



Mio padre è stato per tutta la vita democristiano, quando è caduta la Dc ha votato in sequenza per Berlusconi, Prodi, una volta perfino Casini, cercando sempre dal suo punto di vista di non sbagliare, non ha mai dichiarato apertamente il suo voto, si intuiva da piccoli gesti e reazioni.

Ho il sospetto che abbia votato Grillo, proprio come me, ne sono contento.

Non lo trovo sintomo di qualunquismo, esaurimento della distinzione fra destra e sinistra, insomma di quelle ovvie conclusioni a cui arrivano miei amici, notisti politici, presunti progressisti di diversa estrazione.

Il venerdì prima delle elezioni ero in Piazza san Giovanni al comizio conclusivo del Movimento, non mi piacciono gli slogan e  così mi sono trovato a disagio quando qualcuno si è messo a gridare “tutti a casa” e gli altri lo hanno ripetuto come un eco.
Non mi sono mai piaciuti gli slogan, mi intriscono gli studenti dei licei quando intonano delle rime quasi sempre stupidamente baciate contro qualche ministro della Pubblica Istruzione, anche se posso condividerne la sostanza non apprezzo la scarsa originalità nella forma.
Eppure quando alcuni candidati iniziarono a parlare in piazza, ero soddisfatto che non riuscissero perfettamente ad articolare le cose che avevano intenzione di pronunciare, apprezzavo le inesattezze lessicali o sintattiche dovute all’emozione, la loro timidezza evidente, i risolini nervosi, i groppi in gola.
Quanta differenza con le stereotipate e piattamente corrette costruzioni grammaticali di gente che da anni ha imparato a conversare in televisione, dei lupi, degli alfano, delle finocchiaro, dei franceschini, le loro discussioni accese o garbate a Porta a Porta o Ballarò, i loro foulard, i loro completi giacca e cravatta di buona sartoria, i loro orologi al polso vistosi e datati.
Dopo un po’ parlò Beppe Grillo, ci sono stati almeno un paio di momenti  in cui mi sono davvero emozionato.
Uno in cui lesse una lunga lettera che qualcuno gli aveva inviato, parlava di gente che usciva dal buio e di occhi che si abituano alla luce, di novità radicali, di cambiamento, era retorica al punto giusto.
L’altro momento accadde alle fine, era una conclusione a braccio, fuori programma, Grillo disse che fra qualche anno ci saremmo rivisti in un paese forse più povero ma più unito e felice perché finalmente con un prospettiva, un futuro, erano parole coraggiose, eppure i servizi al telegiornale il giorno successivo lo definirono comico con il poco rispetto che si ha in Italia per chi sa usare il sarcasmo.
In fondo ogni volta che torno in Italia dopo un viaggio all’estero ho l’impressione che il mio paese si stia sgretolando, me ne comincio ad accorgere giù in aeroporto.
A Fiumicino le indicazioni per raggiungere la stazione ferroviaria o il bagno più vicino sono confuse, i segnali si contraddicono,  il pavimento e il soffitto accennano crepe inaspettate, quando prendi la navetta per raggiungere il centro l’autista mette ad alto volume una radio con un programma sulla Roma o sulla Lazio dove si polemizza per un rigore non dato o la scelta errata di un allenatore; qualsiasi paese europeo, compresi quelli nettamente più poveri dell'Italia, ha una dignità maggiore nell’accoglierti.
La prima cosa che vedi di un paese è importante, ma nessuno si è mai importato della cosa.
Quando Grillo parla di modello danese, oppure cita esperienze e pratiche tipiche della Germania o del Nord Europa, piccole o grandi cose, inezie o aspirazioni utopiche, comprendo di cosa parla,  eppure in rete qualcuno cita Gramsci a sproposito, posta frasi di Mussolini e Hitler, non si ha ritegno nel giudicare.

Io so solo che le mie viscere a San Giovanni hanno tremato, le persone serie quando vogliono definire un modo di comportarsi  poco razionale in ambito politico  usano l’espressione di pancia, i tromboni come Scalfari con sussiego scrivono che la gente ha votato di pancia, i cerchiobottisti infarciscono i loro editoriali con la stessa affermazione ripetuta come un mantra, eppure la pancia non è lontana dal cuore e ho imparato da tempo a diffidare della mia testa.
La pancia ha a che vedere con l’anima, i bambini d’altronde respirano con la pancia e per questo sono più puri, non c’è nulla di male nel non diventare mai pienamente adulti se diventare maturi politicamente significa essere sempre e comunque dalla parte della moderazione più ottusa.

Per un periodo della mia vita ho lavorato ad un canale all news, non facevo il giornalista ma realizzavo i promo, questo mi salvava solo parzialmente dalle cattive frequentazioni che toccano ai giornalisti.


Quando arrivavano i politici per fare le loro ospitate nei talk show, fuori si riunivano gli autisti che li accompagnavano.
Gli autisti dei potenti si assomigliano sempre un po’, sembrano cani da guardia che si scambiano cicche e sguardi complici.
Hanno un lavoro sicuro e una paga che gente del loro livello scolastico si scorda, sanno mantenere i segreti.
Il politico più triste che ho mai visto era uno che teoricamente sarebbe dovuto essere vicino alle mie posizioni politiche, almeno di quando ancora avevo delle posizioni e delle pose.
Ho smesso di averle da quando ho visto questo politico con un cappottone grigio che si aggirava nei nostri studi con sguardo incerto e passo corto, malgrado la notevole lunghezza delle gambe.
Politico sempre contro, politico che minacciava rivoluzioni impossibili, politico con lo  sguardo debole e incerto del frustrato, ministro e allo stesso tempo antiministro, uno che godeva quando una  sua dichiarazione creava scompiglio e repliche immediate, chiarimenti, polveroni.
Ho smesso di credere quando ho visto uomini magri tornare dopo qualche mese con pance prominenti che strabordavano dalle camicie, mentre il grasso colava sui loro menti e le labbra diventavano lucide.
Avevo già previsto lo scandalo Marrazzo una volta che lo vidi sorridere in corridoio con gli occhi brillanti e un’aria di decadenza che gli colorava malamente le guance.
E’ un senso di disagio fisico connesso al potere, è qualcosa che è molto più vicino alla pancia che alla testa.
Il potere è fisicamente brutto, l’ho visto quasi ogni giorno quando era in saletta di montaggio e  le facce che montavo in alcuni promo erano facce da patibolo, anche se cercavo di catturarli nelle espressioni migliori per colpa del mio senso estetico.
Le facce dei politici che parlano ogni giorno del nulla, le facce dei tirapiedi che applaudono in conferenze e congressi alle due del pomeriggio.

Gli autisti dei potenti sono padroni del centro storico di Roma mentre aspettano i loro datori di lavoro che cenano nei ristoranti o si scopano la loro amante.
I poliziotti annoiati e i portaborse di ogni genere e grado dominano la Roma delle tre di pomeriggio, piazzati in ogni slargo.
Una Roma insopportabile, dominata da segni di protervia, una Roma in cui, se non sei un turista ammaliato da chiese e palazzi, puoi resistere solo se fingi di non vedere, solo se sei un vigliacco.

La Roma di quelle feste che un osservatore  come D’Agostino ha mostrato per anni nel migliore ritratto di questa nazione rovinata dalla fedeltà all’oppositore intransigente che si rivelava sempre per essere il miglior complice del suo avversario.
Ricordo alcune foto della moglie di Bertinotti ingioiellata in terrazze con piante bellissime, le bellissime terrazze estive di questa Roma cialtrona, parolaia, rovinata dalle sue pietre antiche e dalla sua inerzia gattona.

La stessa Roma degli uomini di spettacolo e dei loro interessati endorsment, delle coppie come Dandini e Piovani che associo inevitabilmente  a Veltroni, la loro esibita simpatia pubblica contraddetta dalla loro arroganza privata.

Quel modo di intendere la cultura sempre con deferenza, mai con coraggio, sempre con conformismo.
La Roma dei registi senza ispirazione che campano di rendita, degli attori da rivista, dei cabarettisti da strapazzo, dei registi occhialuti e con il terrore del corpo.
E poi i Mannarino, i Rivera, i bravi ragazzi che spacciano la romanità come moneta falsa, con cappelli da inizio novecento, giacche circensi, esaltazioni della vita, ottimisti, conquistatori di donne facili.

Prendersela con Roma non è sufficiente però, le cose non sono poi così diverse nelle cittadine dove la politica è  spesso connessa con le professioni una volta definite liberali.
Avvocati, notai, medici, piccoli avvoltoi che si cibano di grosse e polpose briciole.
Di solito a fare politica sono sempre borghesi con il pacco di dolci sotto il braccio la domenica e parole arzigogolate imparate forzatamente ed a cui non credono: non sanno leggere, non sanno scrivere,  quelli che davvero credevano nella politica quasi sempre li fregano, i militanti più convinti ed ingenui li ritrovavo anni  dopo con un posto di insegnante precario in qualche liceo con alunni complicati.
Avevano perso fiducia nel loro passato, nella loro gioventù o se continuavano a crederci, lo facevano per abitudine.
Ho visto la gente che ha fatto carriera nei  partiti politici della mia città, quando torno e mi informo sulle liste ci sono frequentatori di discoteche di provincia e bar alla moda, hanno usufruito del fatto che i migliori della loro generazione sono emigrati altrove, hanno vinto la loro piccola battaglia.
Ecco per questi motivi, in parte irrazionali, sicuramente di pancia, facilmente confutabili dalle analisi verbose che sono stufo di leggere, ho votato per il Movimento e non me ne pentirò anche se sbagliassero ogni singola mossa da qui ai prossimi cinque anni.


3 commenti:

  1. sono contento di averti scoperto, sei un grande. complimenti continua così :-)

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  2. Ciao, mi piacevano alcuni commenti alla pagina FB di Raimo e sono venuto a vedere. Siamo in sintonia, come puoi vedere su diversi pezzi qui:
    eliopaoloni.jimdo.com

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  3. Bellissimo pezzo (come quasi tutti quelli che scrivi) ma questo l'ho avvertito particolarmente vicino al mio sentire...
    E sì condivido pienamente pure le ultime righe.
    Ma si sa, sono un'irresponsabile ;-)

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