Mio padre è stato per tutta la vita democristiano, quando
è caduta la Dc ha votato in sequenza per Berlusconi, Prodi, una volta perfino
Casini, cercando sempre dal suo punto di vista di non sbagliare, non ha mai
dichiarato apertamente il suo voto, si intuiva da piccoli gesti e reazioni.
Il venerdì prima delle elezioni ero in Piazza san Giovanni
al comizio conclusivo del Movimento, non mi piacciono gli slogan e così mi sono trovato a disagio quando qualcuno
si è messo a gridare “tutti a casa” e gli altri lo hanno ripetuto come un eco.
Non mi sono mai piaciuti gli slogan, mi intriscono gli
studenti dei licei quando intonano delle rime quasi sempre stupidamente baciate
contro qualche ministro della Pubblica Istruzione, anche se posso condividerne
la sostanza non apprezzo la scarsa originalità nella forma.
Eppure quando alcuni candidati iniziarono a parlare in
piazza, ero soddisfatto che non riuscissero perfettamente ad articolare le cose
che avevano intenzione di pronunciare, apprezzavo le inesattezze lessicali o sintattiche
dovute all’emozione, la loro timidezza evidente, i risolini nervosi, i groppi
in gola.
Quanta differenza con le stereotipate e piattamente
corrette costruzioni grammaticali di gente che da anni ha imparato a conversare
in televisione, dei lupi, degli alfano, delle finocchiaro, dei franceschini, le
loro discussioni accese o garbate a Porta a Porta o Ballarò, i loro foulard, i
loro completi giacca e cravatta di buona sartoria, i loro orologi al polso
vistosi e datati.
Dopo un po’ parlò Beppe Grillo, ci sono stati almeno un
paio di momenti in cui mi sono davvero
emozionato.
Uno in cui lesse una lunga lettera che qualcuno gli aveva
inviato, parlava di gente che usciva dal buio e di occhi che si abituano alla
luce, di novità radicali, di cambiamento, era retorica al punto giusto.
L’altro momento accadde alle fine, era una conclusione a
braccio, fuori programma, Grillo disse che fra qualche anno ci saremmo rivisti
in un paese forse più povero ma più unito e felice perché finalmente con un prospettiva,
un futuro, erano parole coraggiose, eppure i servizi al telegiornale il giorno
successivo lo definirono comico con il poco rispetto che si ha in
Italia per chi sa usare il sarcasmo.
In fondo ogni volta che torno in Italia dopo un viaggio
all’estero ho l’impressione che il mio paese si stia sgretolando, me ne
comincio ad accorgere giù in aeroporto.
A Fiumicino le indicazioni per raggiungere la stazione
ferroviaria o il bagno più vicino sono confuse, i segnali si contraddicono, il pavimento e il soffitto accennano crepe
inaspettate, quando prendi la navetta per raggiungere il centro l’autista mette
ad alto volume una radio con un programma sulla Roma o sulla Lazio dove si polemizza
per un rigore non dato o la scelta errata di un allenatore; qualsiasi paese europeo, compresi quelli nettamente più poveri dell'Italia, ha una dignità maggiore nell’accoglierti.
La prima cosa che vedi di un paese è importante, ma
nessuno si è mai importato della cosa.
Quando Grillo parla di modello danese, oppure cita
esperienze e pratiche tipiche della Germania o del Nord Europa, piccole o
grandi cose, inezie o aspirazioni utopiche, comprendo di cosa parla, eppure in rete qualcuno cita Gramsci a
sproposito, posta frasi di Mussolini e Hitler, non si ha ritegno nel giudicare.
Io so solo che le mie viscere a San Giovanni hanno
tremato, le persone serie quando vogliono definire un modo di comportarsi poco razionale in ambito politico usano l’espressione di pancia, i tromboni
come Scalfari con sussiego scrivono che la gente ha votato di pancia, i cerchiobottisti
infarciscono i loro editoriali con la stessa affermazione ripetuta come un
mantra, eppure la pancia non è lontana dal cuore e ho imparato da tempo a
diffidare della mia testa.
La pancia ha a che vedere con l’anima, i bambini d’altronde
respirano con la pancia e per questo sono più puri, non c’è nulla di male nel
non diventare mai pienamente adulti se diventare maturi politicamente significa
essere sempre e comunque dalla parte della moderazione più ottusa.
Per un periodo della mia vita ho lavorato ad un canale
all news, non facevo il giornalista ma realizzavo i promo, questo mi salvava
solo parzialmente dalle cattive frequentazioni che toccano ai giornalisti.
Quando arrivavano i
politici per fare le loro ospitate nei talk show, fuori si riunivano gli
autisti che li accompagnavano.
Gli autisti dei potenti si
assomigliano sempre un po’, sembrano cani da guardia che si scambiano cicche e
sguardi complici.
Hanno un lavoro sicuro e
una paga che gente del loro livello scolastico si scorda, sanno mantenere i
segreti.
Il politico più triste che
ho mai visto era uno che teoricamente sarebbe dovuto essere vicino alle mie
posizioni politiche, almeno di quando ancora avevo delle posizioni e delle
pose.
Ho smesso di averle da
quando ho visto questo politico con un cappottone grigio che si aggirava nei
nostri studi con sguardo incerto e passo corto, malgrado la notevole lunghezza
delle gambe.
Politico sempre contro,
politico che minacciava rivoluzioni impossibili, politico con lo sguardo debole e incerto del frustrato,
ministro e allo stesso tempo antiministro, uno che godeva quando una sua dichiarazione creava scompiglio e
repliche immediate, chiarimenti, polveroni.
Ho smesso di credere quando
ho visto uomini magri tornare dopo qualche mese con pance prominenti che
strabordavano dalle camicie, mentre il grasso colava sui loro menti e le labbra
diventavano lucide.
Avevo già previsto lo scandalo
Marrazzo una volta che lo vidi sorridere in corridoio con gli occhi brillanti e
un’aria di decadenza che gli colorava malamente le guance.
E’ un senso di disagio
fisico connesso al potere, è qualcosa che è molto più vicino alla pancia che alla
testa.
Il potere è fisicamente
brutto, l’ho visto quasi ogni giorno quando era in saletta di montaggio e le facce che montavo in alcuni promo erano
facce da patibolo, anche se cercavo di catturarli nelle espressioni migliori
per colpa del mio senso estetico.
Le facce dei politici che
parlano ogni giorno del nulla, le facce dei tirapiedi che applaudono in
conferenze e congressi alle due del pomeriggio.
Gli autisti dei potenti
sono padroni del centro storico di Roma mentre aspettano i loro datori di
lavoro che cenano nei ristoranti o si scopano la loro amante.
I poliziotti annoiati e i
portaborse di ogni genere e grado dominano la Roma delle tre di pomeriggio,
piazzati in ogni slargo.
Una Roma insopportabile,
dominata da segni di protervia, una Roma in cui, se non sei un turista
ammaliato da chiese e palazzi, puoi resistere solo se fingi di non vedere, solo se
sei un vigliacco.
La Roma di quelle
feste che un osservatore come D’Agostino
ha mostrato per anni nel migliore ritratto di questa nazione rovinata dalla
fedeltà all’oppositore intransigente che si rivelava sempre per essere il
miglior complice del suo avversario.
Ricordo alcune
foto della moglie di Bertinotti ingioiellata in terrazze con piante bellissime,
le bellissime terrazze estive di questa Roma cialtrona, parolaia, rovinata dalle
sue pietre antiche e dalla sua inerzia gattona.
La stessa Roma
degli uomini di spettacolo e dei loro interessati endorsment, delle coppie come Dandini e Piovani che associo inevitabilmente a Veltroni, la loro esibita simpatia pubblica contraddetta
dalla loro arroganza privata.
Quel modo di
intendere la cultura sempre con deferenza, mai con coraggio, sempre con
conformismo.
La Roma dei
registi senza ispirazione che
campano di rendita, degli attori da rivista, dei cabarettisti da strapazzo, dei registi occhialuti e con il terrore del corpo.
E poi i Mannarino, i Rivera, i bravi ragazzi che spacciano la romanità come moneta falsa, con
cappelli da inizio novecento, giacche circensi, esaltazioni della vita,
ottimisti, conquistatori di donne facili.
Prendersela con Roma non è sufficiente però, le cose non
sono poi così diverse nelle cittadine dove la politica è spesso connessa con le professioni una
volta definite liberali.
Avvocati, notai, medici, piccoli avvoltoi che si cibano di grosse
e polpose briciole.
Di solito a fare politica sono sempre borghesi con il pacco
di dolci sotto il braccio la domenica e parole arzigogolate imparate
forzatamente ed a cui non credono: non sanno leggere, non sanno scrivere, quelli che davvero credevano nella
politica quasi sempre li fregano, i militanti più convinti ed ingenui li
ritrovavo anni dopo con un posto
di insegnante precario in qualche liceo con alunni complicati.
Avevano perso
fiducia nel loro passato, nella loro gioventù o se continuavano a crederci, lo
facevano per abitudine.
Ho visto la gente
che ha fatto carriera nei partiti
politici della mia città, quando torno e mi informo sulle liste ci sono frequentatori
di discoteche di provincia e bar alla moda, hanno usufruito del fatto che i
migliori della loro generazione sono emigrati altrove, hanno vinto la loro
piccola battaglia.
Ecco per questi
motivi, in parte irrazionali, sicuramente di pancia, facilmente confutabili
dalle analisi verbose che sono stufo di leggere, ho votato per il Movimento e
non me ne pentirò anche se sbagliassero ogni singola mossa da qui ai prossimi cinque anni.
sono contento di averti scoperto, sei un grande. complimenti continua così :-)
RispondiEliminaCiao, mi piacevano alcuni commenti alla pagina FB di Raimo e sono venuto a vedere. Siamo in sintonia, come puoi vedere su diversi pezzi qui:
RispondiEliminaeliopaoloni.jimdo.com
Bellissimo pezzo (come quasi tutti quelli che scrivi) ma questo l'ho avvertito particolarmente vicino al mio sentire...
RispondiEliminaE sì condivido pienamente pure le ultime righe.
Ma si sa, sono un'irresponsabile ;-)